Una deriva malsana La legge elettorale deve essere coerente ad un disegno costituzionale Non andremo a votare per il referendum e chiediamo a chi si recherà al seggio per le amministrative di rifiutare le schede referendarie e di far registrare questo rifiuto al seggio. C’è una deriva malsana nel paese che va arginata. Si è innescata con il primo referendum elettorale, quello del ‘92 sull’abolizione delle preferenze. Da quel momento il Parlamento è diventato una assemblea di nominati invece che di eletti. E la decisione sulle nomine, dal popolo sovrano è passata a cinque o sei segretari di partito e ai loro collaboratori. Non fosse bastato, c’è stato il referendum contro il sistema proporzionale un anno dopo. Con il sistema maggioritario la maggioranza non viene individuata nel libero dibattito parlamentare, ma esce direttamente preconfezionata dalle urne. E le Camere perdono un’altra funzione. Al punto che c’era chi voleva introdurre in Costituzione un norma anti - ribaltone per la quale chi veniva eletto con una maggioranza non poteva lasciarla, con tanti saluti alla libertà dai vincoli di mandato dell’eletto. Ammettiamo ad esempio che, in tali condizioni elettorali, si fosse arrivati all’episodio di Sigonella nel 1984. Il presidente del Consiglio Craxi schierava i carabinieri per impedire che la Delta Force arrestasse i sequestratori dell’Achille Lauro e questi scappavano. Il ministro Spadolini, essendo stato eletto nella maggioranza di governo dell’onorevole Craxi, invece di aprire la crisi di governo - come fece - avrebbe dovuto applaudire a quanto accaduto in nome della stabilità. Ci sarebbe da chiedersi se il paese non sia impazzito nel frattempo e cosa sia successo alla sua classe dirigente. La stabilità politica non si ottiene con una legge elettorale e con l’autorità che la legge elettorale può esercitare. La stabilità politica dipende dall’autorevolezza politica. Che prescinde da qualsiasi legge elettorale. Perché altrimenti c’è una legge elettorale certa che dà stabilità: l’abolizione del voto. Come in Cina, dove nessuno vota, il partito è uno solo e il governo è stabilissimo. E’ chiaro che il movimento referendario pensa all’America del Nord e non alla Cina. Mario Segni è un occidentale e vorrebbe il meglio per il nostro paese. Solo che il bipartitismo statunitense ha un suo profilo ben consolidato nella storia di quella nazione e si fonda su dei valori comuni e identitari molto forti. Lo stesso si potrebbe dire per la Gran Bretagna, dove pure il bipartitismo maggioritario è entrato in sofferenza. Se noi scaviamo nella cultura storica dell’Italia, troviamo invece qualcosa di molto diverso, più simile al sistema cinese che a quello americano: il partito unico e non il bipartitismo. Ma di questo i referendari non si sono mai preoccupati, come non si sono preoccupati di comprendere che una Costituzione si accompagna ad una legge elettorale. E che, se si tocca la legge elettorale, si colpisce inevitabilmente anche la Costituzione. La stessa idea del premierato è di Mario Segni: senza bisogno di referendum, questa è piaciuta sia a Prodi che a Berlusconi. Berlusconi premier: c’era nel simbolo del Polo delle Libertà nel 2001. E il centrosinistra rispondeva con Prodi premier. Ecco così resa inutile la prassi costituzionale che prevede un presidente incaricato dal Capo dello Stato ed inviato alle Camere. Davanti al voto popolare, Capo dello Stato e Camere non possono permettersi di discutere sul premier, il loro ruolo viene nuovamente esautorato. Perché stupirsi mai allora che un presidente del Consiglio eletto dal popolo direttamente debba sopportare la prassi parlamentare invece che abolirla? Se il Parlamento deve solo schiacciare bottoni, tanto vale che lo faccia il premier da solo. E se volete aiutarlo, diamogli intanto una maggioranza assoluta dei seggi con il referendum Guzzetta - Segni che concede un premio di maggioranza al partito che raccoglie più voti. Insomma: il colpo di grazia per la Costituzione repubblicana. |